Come ogni anno anche il 1° gennaio 2023 ha visto scadere su una serie di opere creativi i diritti d’autore originari spettanti al creatore della stessa.
Le norme che regolano le “privative” alle opere intellettuali, sia in Italia sia nel resto del mondo, stabiliscono tutte un determinato periodo di tempo trascorso il quale l’opera diventa di pubblico dominio, ossia è possibile il suo utilizzo, ma anche la sua eventuale modifica e rielaborazione, in forma libera. Ciò significa che chiunque può utilizzare un’opera, o anche un personaggio o un elemento, per realizzarne di nuove o semplicemente, soprattutto per le opere letterarie, ristamparne copie senza dover corrispondere gli importi previsti quali riconoscimento del diritto d’autore.
Tale termine ha subito nel corso del tempo numerose modifiche. La prima legge moderna a disciplinarlo fu lo Statuto di Anna del 1710, emanato sotto il regno della regina Anna Stuart che garantiva la persistenza del diritto fino ai 28 anni successivi alla data di creazione dell’opera. Nel mondo di civil law fu con la legge Le Chapelier del 1791 che vennero riconosciuti i diritti di privativa sulle opere teatrali per cinque anni dopo la morte dell’autore, poi estesi a dieci anni nel 1793.
Nello stesso periodo venne introdotta la prima legge federale statunitense, mentre in Europa, data la frammentazione degli Stati, emergevano varie disposizioni per riconoscere la titolarità del diritto in capo ai creatori delle opere e tutelarne così la riproducibilità.
Durante il XIX secolo appaiono le prime convenzioni internazionali e successivamente si assiste ad una progressiva armonizzazione di tale termine.
Oggi, in estrema sintesi vi sono sostanzialmente tre grandi “blocchi geografici” con termini di scadenza diversi che si applicano alle opere intellettuali (con qualche minima differenziazione per specifiche tipologie di diritti o di opere):
- In Europa la scadenza del diritto è fissata in 70 anni dalla morte dell’autore dell’opera;
- Negli Stati uniti, dove il termine comincia a decorrere non dalla morte dell’autore bensì dalla pubblicazione dell’opera, la scadenza avviene dopo 95 anni. Tale termine è stato più volte modificato tramite interventi del Congresso statunitense come quello avvenuto nel 1998 e soprannominato “Mickey Mouse Protection Act”, palesemente volto ad estendere la durata della tutela del personaggio di Topolino i cui termini (75 anni prima dell’intervento) sarebbero a breve scaduti;
- In altri paesi la protezione varia dai (dai 50 ai 50 anni), considerando che la Convenzione di Berna (e l’accordo TRIPS) a cui hanno aderito numerosi Stati nel mondo stabiliscono comunque una durata non inferiore a 50 anni, derogabile solo in aumento dal singolo Stato.
Copyright day, nuove opere e internet
Fino agli anni più recenti il copyright day (ossia il 1° gennaio successivo alla scadenza del periodo di copertura del diritto) è stato considerato il giorno in cui le varie opere letterarie dei grandi autori diventavano di pubblico dominio, consentendo così alle case editrici di arricchire i loro cataloghi con libro che, nel frattempo, erano diventati dei classici.
Si pensi solo che il 1° gennaio 2023 sono scaduti i diritti sulle storie di Sherlock Holmes, le opere di Benedetto Croce, di Maria Montessori, nonché una serie di titoli coperti dal copyright statunitense o anglosassone, come le poesie di Ezra Pound, Gita al faro di Virginia Woolf, Poirot e i quattro di Agatha Christie, Il lupo della steppa di Herman Hesse e molti altri.
Dall’anno corrente chiunque potrà liberamente utilizzare questi testi, trasformandoli in audiolibri, opere cinematografiche o teatrali, riadattandole su nuovi media e costruendo nuove storie.
Il genere letterario è stato sempre messo al centro dell’attenzione del copyright day, questo perché, visto anche il lasso di tempo necessario a far venir meno il diritto d’autore, tali categorie di opere erano quelle più diffuse agli inizi del secolo scorso ed ancora non erano sorte le diverse tecnologie di intrattenimento.
Ciò però è destinato a cambiare nei prossimi anni. Dalla fine degli anni venti del 1900, infatti, soprattutto negli Stati Uniti aveva cominciato a prendere piede il cinema e, quindi, i primi film animati prodotti da Walt Disney, con personaggi iconici che tutt’ora fanno parte dell’offerta di intrattenimento della Disney stessa.
L’anno prossimo scadranno il diritto su “Steamboat Willie”, il primo film con Topolino, e nel 2030 andranno in scadenza i diritti su film come Biancaneve, Bambi e Fantasia.
Il primo fumetto di Batman è del 1939 e, pertanto, sul personaggio scadranno i diritti nel 2035 (nonostante ancora oggi il personaggio sia utilizzato per produrre fumetti, film d’azione, cartoni animati, videogiochi e merchandising vario).
L’avvento di internet, inoltre, ha cambiato sia la percezione del pubblico sia l’approccio del legislatore statunitense su questa materia. Mentre fino al 1998 (l’anno del “Mickey Mouse Protection Act”) la tematica era ancora di interesse dei soli addetti dell’industria dell’entertainment e quindi le lobby americane di Hollywood erano facilitate nella loro opera di persuasione nei confronti del Congresso, l’avvento di internet e la sua rapida diffusione hanno cambiato le carte in tavola.
Innanzitutto, non dobbiamo sottovalutare che nell’ideologia “libertaria” la rete è stata vista come un luogo di diffusione della conoscenza libera e paritetica. Questa idea, che dalle licenze software open source si è poi spostata anche sui contenuti con le licenze Creative Commons, è stata fatta propria da molti utenti, anche per la facilità con cui è possibile copiare, modificare e distribuire le opere online.
Inoltre, l’avvento delle Big Tech è stato in alcuni casi basato sul concetto di “fair use”, come la oramai storica battaglia, conclusasi con un accordo transattivo “globale”, portata avanti da Google per il servizio Google Book con cui aveva digitalizzato e messo a disposizione del pubblico “per fini di ricerca” i testi presenti in un numero rilevante di biblioteche, senza preliminarmente accordarsi con gli editori che di quei testi detenevano il copyright.
Ma anche i social media hanno – e stanno continuando – ad alimentare tale percezione. Si pensi ai cosiddetti “user generated contents”, ossia contenuti che vengono creati e condivisi dagli utenti su cui, molto spesso, il controllo circa la violazione del diritto d’autore è a dir poco problematica (ambito in cui le ultime previsioni della direttiva (UE) n. 2019/790 hanno tentato, con non poche polemiche e difficoltà applicative, di intervenire).
Si pensi, da ultimo ma non per importanza, a cosa sta succedendo con i nuovi servizi di intelligenza artificiale generativa (tipo ChatGPT). Questi servizi mettono a disposizione del pubblico dei modelli di machine learning preaddestrati su set di dati quantitativamente enormi, in grado di creare testi, immagini, musica o anche vocalizzazioni sulla base di specifiche richieste degli utenti (che riescono a “interpretare” ai fini dell’output). Si tratta, per usare un neologismo, di una forma di erogazione di Artificial Intelligence as a Service (“AIaaS”) che però già sta facendo sollevare qualche polemica (e cause legali) per le modaità con cui i modelli vengono addestrati. La creazione del dataset, infatti, è spesso realizzata tramite tecnologie di “scraping” di siti pubblici oppure utilizzando alcune banche dati di pubblico dominio. Mentre l’utilizzo di tali banche dati non dovrebbe porre problemi dal punto di vista del diritto d’autore (ma, forse, ne poni sotto il profilo della qualità dei dati di addestramento), lo “scraping” dei siti è considerata una pratica al limite della liceità, perché può portare a violazioni dei diritti di proprietà intellettuale dei titolari dei siti stessi (recentemente è stata annunciata una class action nei confronti di OpenAI in quanto per l’addestramento di GPT3 avrebbe utilizzato repository di Github senza rispettare le condizioni di licenza d’uso che gli sviluppatori del codice avevano apposto sui software realizzati e resi così disponibili).
Tali considerazioni circa il mutato sentimento sociale verso le privative fornite dal diritto d’autore portano a concludere che difficilmente le lobbies di Hollywood riusciranno ad ottenere ulteriori “proroghe” da parte del legislatore statunitense, e per tale motivo sembra che già stiano adottando delle contromisure.
Le contromosse a protezione del business
In vista della progressiva scadenza dei termini del diritto d’autore sui loro asset cinematografici e non, per cercare di preservare la possibilità di reclamare una privativa sulle opere creative e sui personaggi delle stesse le grandi case produttrici ed editoriali stanno preparando una serie di contromosse.
Innanzitutto, è bene specificare che il diritto d’autore copre l’esteriorità dell’opera, ossia il modo con cui la stessa viene rappresentata. Ciò significa che la scadenza del diritto fa cessare la privativa su quella specifica espressione intellettuale, ma non su altre eventualmente successive o differenti.
Riprendendo il caso della Disney, quindi, nel 2024 scadrà il copyright su quella esatta raffigurazione di Topolino rappresentata nel film “Steamboat”, ma non sulle raffigurazioni successive dello stesso personaggio.
D’altra parte, per rafforzare la tutela, la strategia che si sta utilizzando è quella di depositare, sino a quando il copyright non è ancora scaduto, una serie di marchi con le raffigurazioni dei personaggi o con i loro nomi.
Il marchio, dal punto di vista giuridico, ha una funzione differente da quella del diritto d’autore, in quanto serve a identificare un determinato prodotto o servizio in modo da renderlo immediatamente riconoscibile ai consumatori, evitando la confondibilità con prodotti o servizi di altre aziende.
Il marchio, inoltre, qualora utilizzato e rinnovato periodicamente potrebbe far mantenere il diritto di privativa per un tempo indefinito, così superando anche la problematica collegata allo scadere dei diritti d’autore.
Questa strategia fu utilizzata originariamente dal creatore del personaggio di Tarzan, che depositò non solo le opere letterarie, ma anche i relativi marchi denominativi.
I limiti di questa strategia risiedono però nell’estensione della copertura. Registrare il marchio denominativo “Tarzan” non può impedire che qualcuno scriva un’opera letteraria su tale personaggio (usando il nome Tarzan), così come nel momento in cui un film come Steamboat diventa di pubblico dominio chiunque potrà utilizzare un qualsiasi fotogramma della pellicola per creare prodotti di merchandising (ad esempio stampandola su articoli di abbigliamento o altre tipologie di articoli). In tali ipotesi il solo fatto della registrazione del marchio “Topolino” non potrebbe valere ad impedire tali condotte.